Ravenna, 17 maggio 2024
Il clima sta cambiando ed è a causa nostra. Il cambiamento climatico esiste!
Si sta manifestando in molti modi: 1) aumento delle temperature e riscaldamento globale; 2) scioglimento dei ghiacci ai poli e nei ghiacciai perenni; 3) conseguente aumento del livello dei mari; 4) aumento della temperatura degli oceani; 5) acidificazione degli oceani; 6) eventi climatici estremi più frequenti; 7) diminuzione delle nevi e inverni più brevi nell’emisfero boreale; 8) siccità e diminuzione delle acque fluviali.
Il riscaldamento globale c’è, ed è globale, il che significa che in media sta interessando tutto il globo, non va visto solo localmente.
Ed è il riscaldamento globale all’origine del cambiamento climatico.
Perché si sta scaldando l’atmosfera? A causa dell’aumento delle concentrazioni di gas: anidride carbonica (CO2) e metano, in primis. Queste provocano il cosiddetto «effetto serra». Oggi abbiamo una concentrazione di CO2 pari a 415 ppm e così alta si era avuta solo 3 milioni di anni fa (quando la terra pullulava di vulcani in eruzione). Il massimo, nel corso degli ultimi 800mila anni, è stato di 280 ppm (come negli ultimi 10mila anni).
Il ciclo del carbonio si sta alterando (è quello che, con il ciclo dell’acqua e quello dell’azoto dà origine alla vita): nell’atmosfera ce n’è troppo e non riesce ad essere assorbito.
Negli ultimi 70-80 anni l’aumento è stato continuo e vertiginoso. Negli ultimi 30 velocissimo. Perché?
Da dove vengono i “gas serra”? Perlo più dalla combustione di vari tipi di materiali per la produzione di energia, da agricoltura e allevamento, dalla deforestazione (che limita il riassorbimento di CO2).
- Energia: 73.2%, di cui produzione di energia per usi vari (41.7%) e trasporti (16.2%) – in gran parte basata su combustibili fossili
- Agricoltura, foreste e uso della terra: 18.4%, di cui allevamenti (5.8%), suoli agricoli (5.4%), bruciatura raccolti (3.5%) e deforestazione (2.2%)
- Industria: 5.2%
- Rifiuti: 3.2%
Tra i paesi, contribuiscono alle emissioni totali: Cina (31.8%), USA (14.4%), India (9.5%), Russia (5.8%, Indonesia (5.8%), Brasile (5.5%), EU (4.9%), Giappone (3.5%).
La produzione di gas serra è direttamente proporzionale alla produzione industriale e manifatturiera e alla produzione di energia di ogni paese.
In termini di emissioni per abitante, in testa ci sono gli USA e l’Arabia Saudita (17.6), seguiti da Canada, Australia, Corea del Sud, Giappone, Germania, Russia, Iran, UK, Polonia, Italia (7.7), Malaysia, Francia, Cina (6.4 tonnellate). Ovvero tra i paesi che più contribuiscono in proporzione ai loro abitanti ci sono soprattutto i paesi ricchi.
Se ordiniamo i produttori di CO2 per paese e tipo di attività economica, nel 10% dei produttori maggiori il 40% sono nord americani, il 19% della UE, il 10% cinesi e il 7% russi. Tra il 40% dei produttori più piccoli, invece, il 35% sono cinesi, il 18% della UE, l’8% asiatici, il 7% nord americani.
La produzione di CO2 dipende anche dal tipo di consumi, come trasporti e produzione di energia. Se la calcoliamo sulla base di ciò abbiamo la cosiddetta impronta ecologica. I consumatori più ricchi sono anche quelli che più contribuiscono alle emissioni: il 10% dei più ricchi contribuiscono al 50% delle emissioni in USA, al 28% in Canada, al 24% in UK, al 21% in Russia, al 20% in Sud Africa, al 19% in Germania, al 16.5% in Italia e Francia. Il 50% dei consumatori meno ricchi contribuisce a quote molto basse delle emissioni.
Insomma, sono i paesi più ricchi a contribuire di più in termini pro-capite e, nei paesi più ricchi, sono i più ricchi a contribuire di più con i loro consumi. Due terzi delle emissioni globali totali vengono dai paesi ricchi, che sono anche i più grandi emittenti in termini pro-capite.
Disuguaglianza climatica: il cambiamento climatico non agisce su tutti allo stesso modo. Le temperature non aumentano ovunque nello stesso modo, come gli eventi climatici estremi, le siccità, la desertificazione, gli uragani, le alluvioni. Sono soprattutto i paesi della fascia tropicale del pianeta ad esserne affetti, i paesi più poveri e del Sud del mondo.
C’è una doppia disuguaglianza: sono i paesi più ricchi che contribuiscono di più al riscaldamento climatico e sono i paesi più poveri che ne soffrono le conseguenze.
I paesi poveri sono poi soggetti ad altri sfruttamenti e disuguaglianze: rifiuti, coltivazioni per l’allevamento e consumo di carne, acqua sempre più scarsa.
In Europa, le emissioni di CO2, dopo aver raggiunto un picco di 4 miliardi di tonnellate negli anni Novanta, sono costantemente diminuite e ora sono attorno ai 2.6 miliardi (nel 1950 erano pari a 1.2 miliardi).
Non c’è solo il riscaldamento globale ma anche perdita di biodiversità e distruzione della natura, intesa tanto come ambiente e come paesaggio.
Il capitalismo è responsabile
Perché è successo tutto questo? Cosa o chi è responsabile di questo? L’umanità?!?
Qualche scienziato ha proposto il concetto di antropocene, ad indicare che l’era geologica iniziata circa 12mila anni fa, l’olocene, alla fine dell’ultima era glaciale, in cui nelle varie regioni del mondo il clima è stato più o meno stabile e quindi gli ecosistemi si sono evoluti secondo certe traiettorie “naturali”, sarebbe giunta al termine, dando luogo ad una nuova era, tanto sono i cambiamenti in atto negli eco-sistemi permanenti e forse irreversibili. La definizione, com’è noto, è piaciuta più a filosofi e pensatori che agli geologi.
Secondo questa definizione, l’umanità avrebbe prodotto, nel suo uso della natura e nello sfruttamento dell’ambiente e delle risorse naturali, cambiamenti profondi e irreversibili, di portata tale da lasciare un segno nell’evoluzione geologica del pianeta.
Tuttavia, c’è una critica che si può fare a questo concetto. Nel dire che l’umanità, nella sua evoluzione, avrebbe prodotto tali cambiamenti, si accetta una visione della storia e dell’evoluzione per così dire “deterministica” o, se si preferisce, lineare.
Perché gli ominidi evolutisi dalle scimmie si sono messi a correre sulle zampe posteriori? Perché essendo fragili e facili prede delle bestie feroci ciò ne facilitava la fuga. E poi, l’ergersi (homo erectus) ha facilitato il potersi allungare a raccogliere frutti e bacche, a destreggiarsi meglio con l’uso di oggetti contundenti per difendersi. Un’evoluzione diversa ne avrebbe causato l’estinzione (o sarebbero rimasti scimmie) …
L’evoluzione successiva ha avuto una traiettoria che è stata fino a un certo punto “lineare”, nei millenni, finché si sono prodotte “biforcazioni”, la più consistente delle quali è stata l’agricoltura che ha portato alla sedentarietà di talune popolazioni, mentre altre sono rimaste nomadi. L’agricoltura è diventata poi il modo di vivere prevalente, dando origine alle città, ovvero insediamenti permanenti di popolazione.
In tutta questa evoluzione, l’umanità ha vissuto sempre in armonia con la natura e anche con la comparsa delle moderne civilizzazioni – circa ottomila anni fa – tale armonia è proseguita.
In una descrizione lineare della storia, le civilizzazioni si sono susseguite in modo che ha sempre prevalso una superiore su una inferiore – per mezzi e capacità di sfruttare la natura. Secondo questa rappresentazione, anche la rivoluzione industriale, con l’affermazione della civiltà europea sulle altre, non è che la naturale evoluzione della specie umana.
In realtà, ciò che è successo, con l’espansione coloniale europea e poi il successivo sviluppo capitalistico industriale, è stato l’affermarsi di un dominio – quello europeo – su altri popoli del mondo, che avevano altre organizzazioni sociali e un altro rapporto con la natura.
Lo sviluppo capitalistico si basa sullo sfruttamento delle risorse naturali come se queste fossero inestinguibili – tutto dipende dalla capacità tecnologica di sfruttarle.
Ma lo sviluppo capitalistico si è basato, si è fondato, sul dominio coloniale e la sottomissione di altri popoli e territori.
La storia dell’isola di carbone e della noce moscata.
L’opposizione uomo/natura ha origine nella cultura giudaico-cristiana e si afferma definitivamente con lo sfruttamento coloniale e poi capitalistico delle risorse. Gli esseri umani, però, sono parte della natura, non altro da essa.
È il capitalismo industriale che ha portato a questo sfruttamento delle risorse, alla distruzione della natura. Non altri sistemi
Per cui, si dovrebbe parlare di capitalocene, non di antropocene, se proprio si vuole dare una definizione “geologica” di questa era.
Non è l’umanità tutta responsabile di quanto sta accadendo, ma una parte di essa, quella europea! Chiedete ai popoli dell’Amazzonia…
Se si vuole parlare di conservazione della natura, quindi, si deve parlare di superamento del capitalismo, di cambiare sistema.
La storia che si vuole raccontare non è quella dell’umanità, indistinta, che è invece fatta di un mosaico di civilizzazioni. Dove siamo arrivati è il prodotto di una civilizzazione, in particolare. Non è vero che non potevamo arrivare dove siamo arrivati: ci siamo arrivati perché si è affermato il capitalismo, con il suo perseguimento del profitto con l’estrazione di risorse, rovinando e distruggendo la natura. È un antropos indistinto, astorico, in questa narrazione, e tutto si riduce a come ci relazioniamo con la natura, quale tecnologia è meglio di un’altra.
La natura non è solo risorsa, ma è matrix (madre). Le relazioni umane sono natura. E non c’è niente di naturale nel fatto che nel capitalismo vi sono le classi, si afferma il dominio di una classe sulle altre, di popoli sugli altri popoli.
Uno sguardo a noi
Un anno fa, l’alluvione in Romagna ha portato devastazioni e morte. Si è detto che è stato un evento climatico eccezionale. È vero, me è anche vero che questi eventi avvengono sempre più di frequente a causa del cambiamento climatico. Di cui anche noi, nel nostro piccolo, siamo responsabili. E siamo responsabili anche del fatto che i nostri territori non sono stati preparati a farvi fronte. Anzi, sono stati messi in condizione di subirli pesantemente.
L’ER è la seconda regione in Italia per emissione di CO2. Un quarto di questa è dovuta ai trasporti (la voce principale).
Inoltre, la regione continua a consumare suolo (l’8.9% della superficie regionale è ora consumato, cementificato) – 11.900 nuovi ettari negli ultimi 17 anni, prevalentemente in aree rurali, a pericolosità idraulica e da frana. Tre quarti del suolo regionale è impattato dal consumo di suolo. Il degrado del suolo e idro-geologico poi aggiungono (negli ultimi 17 anni, ben 607mila ettari si sono degradati). Anche da noi, la logica è di usare la natura e l’ambiente a nostro piacimento: un modello estrattivistico che non può funzionare.