Non è forse un caso che Julian Assange si trovi oggi in galera, ancora in attesa di essere estradato negli USA per essere giudicato per alto tradimento, se consideriamo cosa Wilileaks è stato in grado di portare alla luce. Veniamo infatti a sapere che William Burns, quando era ambasciatore in Russia nel 2008, inviò un promemoria da Mosca a Washington intitolato «Nyet means nyet» (“No significa no”, ove “no” è scritto in russo), spiegando che l’espansione della NATO all’Ucraina sarebbe stata assolutamente contraria alle principali preoccupazioni di tutta la classe politica russa in materia di sicurezza nazionale. «Le aspirazioni alla NATO dell’Ucraina e della Georgia non solo toccano nervo scoperto in Russia, ma suscitano serie preoccupazioni sulle conseguenze per la stabilità della regione. Non solo la Russia percepisce l’accerchiamento e gli sforzi per minare l’influenza della Russia nella regione, ma teme anche conseguenze imprevedibili e incontrollate che comprometterebbero seriamente gli interessi della sicurezza russa. Gli esperti ci dicono che la Russia è particolarmente preoccupata che le forti divisioni in Ucraina sull’adesione alla NATO, con gran parte della comunità etnico-russa contraria all’adesione, possa portare ad una grande spaccatura, con violenze o, nel peggiore dei casi, una guerra civile. In questa in questa eventualità, la Russia dovrebbe decidere se intervenire o meno, una decisione che la Russia non vuole prendere». https://wikileaks.org/plusd/cables/08MOSCOW265_a.html
La vicenda ucraina da sempre agita i sogni russi. “Invenzione” di Lenin, l’attuale repubblica ha ereditato i confini stabiliti ai tempi dell’URSS dopo la Seconda guerra mondiale, un patchwork di territori con popolazioni rumene e polacco-lituane a ovest e russe a sud-est, con gli ucraini nel mezzo. L’indipendenza del 1991 ha lasciato un paese post-sovietico non molto diverso dai vari “stan” dell’Asia centrale, con burocrati fattisi oligarchi, più spesso tra i russi ma anche tra gli altri gruppi etnico-linguistici. Dopo la “rivoluzione arancione” del 2004, però, la “europeizzazione” doveva procedere a passo spedito e, invece, ha rallentato.
La storia recente è nota. Dopo la decisione del presidente Yanukovych di non firmare l’accordo di associazione tra Ucraina e l’Unione Europea voluto dal Parlamento e di cercare invece più stretti rapporti con la Russia, a partire dal 21 novembre 2013 vi furono proteste che ebbero il loro centro nella Piazza Indipendenza di Kyiv (Maidan) che portarono alle dimissioni di Yanukovych, un governo di unità nazionale e nuove elezioni. La «rivoluzione della dignità», come venne chiamata, venne seguita dall’annessione della Crimea da parte della Russia e dallo scoppio di proteste pro-russe in Ucraina orientale che presto sfociarono in un’insorgenza separatista e una guerra civile strisciante nelle due province del Donetsk e Luhansk (note insieme come Donbas). Le due province dichiararono l’indipendenza, con il supporto dei separatisti russi appoggiati da Mosca, anche se con il protocollo di Minsk del settembre 2014 e poi del febbraio 2015 tra Russia, Ucraina e i rappresentanti delle due entità si arrivò ad un cessate il fuoco, che fu poi ripetutamente violato. La guerra “civile” nel Donbas, fino al febbraio 2022, provocò 14 mila vittime. Nel dicembre 2019, a Parigi, si arrivò ad un accordo per il conferimento di uno statuto speciale autonomo delle due repubbliche sotto la giurisdizione ucraina firmato da Zelensky, Macron, Merkel e Putin. Ma dopo l’accordo non successe nulla e le condizioni per un confronto peggiorarono, fino all’invasione.
Dopo l’invasione, la Russia ha di fatto annesso le quattro province sud-orientali. L’esercito ucraino è alle strette, sia in termini di personale che di munizioni. In due anni, la guerra ha provocato, secondo alcune stime, tra i 350 e i 450 mila caduti tra le forze russe, 120 mila tra quelle ucraine e tra gli 11 e i 14 mila civili caduti (e 20 mila feriti). L’Ucraina, che aveva una popolazione di 42 milioni di abitanti prima della guerra, ha visto un’emigrazione di 6 milioni di rifugiati e altrettanti che hanno dovuto abbandonare le loro case e trasferirsi altrove nel Paese. Nella situazione di relativa stasi attuale, però, il Paese ha di fronte una sconfitta catastrofica, con la prospettiva di dove rinunciare alle quattro province sud-orientali.
This arithmetic of this is inescapable: Nato countries will soon have to send soldiers to Ukraine, or else accept catastrophic defeat. The British and French, along with the Nordic countries, are already quietly preparing to send troops — both small elite units and logistics and support personnel — who can remain far from the front. The latter could play an essential role by releasing their Ukrainians counterparts for retraining in combat roles. Nato units could also relieve Ukrainians currently tied up in the recovery and repair of damaged equipment, and could take over the technical parts of existing training programmes for new recruits. These Nato soldiers might never see combat — but they don’t have to in order to help Ukraine make the most of its own scarce manpower.
Crucially, with China coming ever closer to an attack on Taiwan, the US cannot provide more troops than the roughly 40,000 who are already in Europe. Thus a momentous decision is in the post for the other Nato members, especially the most populous: Germany, France, Italy and Spain. If Europe cannot provide enough troops, Russia will prevail on the battlefield, and even if diplomacy successfully intervenes to avoid a complete debacle, Russian military power will have victoriously returned to Central Europe. At that point, Western European powers will have to rebuild their armed forces, whether they like it or not, starting with the return of compulsory military service.
https://unherd.com/2024/04/its-time-to-send-nato-troops-to-ukraine