Fa piacere vedere che il manifesto di oggi – 27 marzo 2024 – chiami a raccolta il popolo della sinistra per un 25 aprile a Milano che sia ancora più partecipato di quello del 1994, quando era stato proprio il manifesto a lanciare l’idea.
Con questa “chiamata”, in un certo senso, il manifesto torna a fare politica, a rivolgersi alla sinistra tutta, ad essere qualcosa di più di un semplice giornale, ma un megafono per la sinistra, una piattaforma di confronto e di proposta. Come era stato per qualche tempo in momenti forse appena più “gloriosi” (non sono mai stati gloriosi i tempi del manifesto, è vero, ma certamente più vivi e di lotta di oggi).
E, però, molte domande sorgono spontanee, la prima delle quali è, ovviamente: a chi si rivolge il giornale? Certo, oggi più di trent’anni fa, non è più il giornale di una certa “area”. È letto ancora meno di allora da chi si colloca più o meno a sinistra, ha ancora una sua reputazione. Ma ha ancora una sua “area” di riferimento? Nel tempo, soprattutto negli anni di Norma Rangeri direttrice, si è fatto “voce” della sinistra “non Pd”, ma solo fino a un certo punto. Ha delle posizioni sue – come giornale – come le hanno, ovviamente, i suoi giornalisti e il suo direttore. Ma non è certamente più il riferimento della sinistra “non Pd”. Perché quella sinistra ha tante posizioni diverse, così diverse (nominalmente) che finiscono per confliggere, non riconoscendosi così nel giornale. La chiamata a scendere in piazza, per quanto condivisibile, verrà dunque raccolta, a sinistra, più per spirito di unità antifascista che altro.
Ciò che stride un poco, tuttavia, non è tanto che non vi sia un’area di riferimento del giornale precisa – la colpa è nel frazionamento di quell’area, non del giornale – quanto che un giornale che, con il suo ultimo direttore, ha professato di voler fare «prima di tutto del giornalismo, più che prendere parte politica» (pur restando, certo, giornalismo di sinistra) ora lanci un proclama politico: «scendiamo in piazza il 25 aprile». Il proclama va benissimo! Perché, allora, professare di non voler «prendere parte politica» e poi fare politica con una chiamata siffatta?
Il giornale non è più, se mai lo è stato davvero, una piattaforma di confronto tra posizioni diverse della sinistra. Non vi si trovano opinioni (tra loro) confliggenti. Certo, ospita contributi esterni, anche di non giornalisti, ma non è in nessuno modo testimone della diversità del dibattito che pullula a sinistra (forse questa affermazione appare enfatica, ma dato che vi sono così tante sigle di partiti e organizzazioni, associazioni e gruppi, a sinistra, un dibattito deve pur esserci, una differenza di opinioni deve pur esistere). Poi, certo, si può obiettare: in cosa divergono Santoro e Fratoianni, Acerbo e Comastri, Bonelli e La Valle (per citare solo i leader)? E, soprattutto, perché divergono? Sono le divergenze davvero tanto nette da giustificare la disunità, le divisioni? Perché non marciare uniti? (vecchio tema, a sinistra).
Il manifesto ha una sua linea politica, è ovvio (e giusto, oltreché legittimo). Quale? La si potrebbe definire come «una linea sottile, che si colloca tra chi simpatizza per una certa sinistra Pd e un’altra sinistra, quella di Sinistra italiana». Una linea che ha smesso di confrontarsi (fuori dal giornale) con altre sinistre, più o meno bonsai, da tempo e che nel giornale non trovano eco. Non è, quindi, un giornale, come avrebbe ben potuto essere, di tutta (o grande parte) della sinistra “non Pd” (o anche di quella Pd).
Così, di fronte a questo appello a scendere in piazza uniti in nome dell’antifascismo piange un po’ il cuore vedere il giornale che si rivolge alla sinistra tutta. Lo facesse ogni giorno, dando conto delle opinioni divergenti che esistono, magari provando a fomentare il dibattito perché queste trovino convergenza!
Oggi ferve il dibattito sulle guerre – da quella in Ucraina a quella in Palestina – e le posizioni sono diverse, a sinistra. Come sono diverse sui temi del governo del territorio e dell’ambiente, le politiche locali, le politiche nazionali. Vediamo il giornale accogliere contributi divergenti su questi temi? Molto raramente. Certo, si può obiettare che il giornale ha una sua linea e non è tenuto a dar voce ad altre linee. Sì, ma allora? Chi siete voi per auspicare una discesa in piazza in nome dell’antifascismo, per dar voce all’opposizione ad un governo fascista? Uniti sì, ma solo per un giorno e solo su un tema e per il resto divisi, e che Dio ci aiuti.