Commenti entusiasti da parte di tanti, forse più per la paura presa che per altro. Come avevo detto, una vittoria della destra non era plausibile, troppo poco credibile la sua ascesa. Anche i dati delle europee del giugno scorso non lasciavano pensare ad un “sorpasso”. In realtà, la “strizza” era data dalla coda tra le gambe di Pd e alleati, timorosi che la “rabbia” per le note vicende climatiche gli si ritorcesse contro.
Non vi è stata rabbia, solo rinuncia. Gran parte dei nostri concittadini (ora cominciano a essere maggioranza) vede la politica come qualcosa di lontano, estraneo, e quei pochi che “fanno 2+2”, pensando che il governo della Regione possa avere avuto qualche responsabilità, sono una minoranza. Peraltro, tutti hanno perso elettori, e la diserzione dalle urne si è fatta massiccia come non mai.
In Emilia-Romagna il crollo dei votanti è stato del 21,3% (dal 66,7%), contro il 12,4% dell’Umbria (dal 64,7%). Quali che siano le motivazioni – e sono varie – non lo si prevedeva così drammatico. Certo, una qualche rilevanza le questioni legate all’alluvione e alla gestione del territorio devono averla avuta, visto che il calo è stato tanto maggiore che in Umbria. E non si dica che era perché la Regione non era considerata contendibile, perché, se così fosse, allora non avrebbe avuto senso chiamare al voto contro la “minaccia” della destra. Tanto le zone colpite che quelle che sono rimaste esenti hanno evidentemente introiettato una percezione generalizzata che il governo regionale non possa dirsi esente da colpe (tra consumo di suolo e dissesto idro-geologico), rivelatasi nella campagna del Pd che ha cercato di glissare sull’argomento, anzi ribadendo di voler perseguire le scelte già compiute (grandi opere, passante e autostrade).
In Umbria, viceversa, la partecipazione è stata appena più alta proprio perché la candidata presidente – cattolica e pacifista – ha saputo raccogliere attorno a sé un fronte ampio, fino alla sinistra radicale, tale da invogliare al voto più elettori.
Il Pd e il “campo largo” festeggiano dunque la decisa vittoria in Emilia-Romagna e la riconquista dell’Umbria. Dopo la sconfitta subita in Liguria per appena un punto e mezzo, con grande enfasi si esaltano il 56,8% di De Pascale nella regione “rossa” e il buon 51,1% di Proietti in Umbria, due risultati che lasciano la destra al palo. Le percentuali, però, sono ingannevoli, perché mascherano tanto il calo della partecipazione che quello dei voti validi.
In Emilia-Romagna il centro-sinistra esulta, nonostante la perdita di 286mila voti rispetto al 2020 (un quarto dei voti). Anche se il centro-destra ne perde 387mila (il 40%), non ha troppe ragioni per brindare. Il Pd di Elly Schlein in cinque anni perde 108mila voti (il 14,4%), il candidato presidente ne ottiene il 22,9% in meno, mentre in Umbria il Pd ne guadagna quasi 4mila e la candidata presidente 16mila. Il “campo largo” è stato capace di perdere ben 269mila voti, quasi un quarto, (e la destra di 217mila, il 26,8%) rispetto alle europee di appena cinque mesi fa.
Avs, che alle europee aveva fatto il “botto” con 130mila voti (6,5%), perde 44mila voti sul 2020 (più di un terzo) e 50mila sul giugno scorso (quasi il 40%!). Così come i pentastellati, il cui giallo è sempre più pallido, che perdono quasi 50mila sul 2020 (la metà) e 89mila sulle europee (il 62,7%).
Nel caso dell’Emilia-Romagna, però, il calo dell’affluenza e dei voti validi è stato particolarmente vistoso, e tutto lascia pensare che le recenti vicende climatiche abbiano accentuato uno iato crescente tra società e corpo politico. Giusto per fare tre esempi di territori colpiti, nel solo comune di Bologna, ad esempio, il Pd perde 12mila voti (un sesto di quelli che aveva), Avs quasi 7mila (ben un terzo) e i 5 Stelle 4mila (la metà); a Faenza il Pd perde mille voti, dei 10.700 che aveva, e AVS due terzi; a Lugo, il Pd perde un quarto dei voti, dei 6mila che aveva, Avs quasi la metà. Potranno anche gioire delle buone percentuali, ma una certa preoccupazione Pd, Avs e M5S la dovrebbero avere. Con buona pace del trionfalismo di Coalizione Civica. Non è poi solo il centro-sinistra a perdere voti, ma anche la destra, il che potrebbe far pensare alla sfiducia di territori che si sono sentiti “trascurati” (come testimonia la vicenda dei ristori).
Oggi, il centro-sinistra si ritrova con due seggi in più e una percentuale di voti maggiori, ancorché con meno voti. Avs ha gli stessi seggi (3) che avevano ER Coraggiosa e Verdi, mentre i 5 Stelle ne prendono uno solo (ne avevano due).
Sinistra Italiana, Verdi e 5 Stelle si presentavano con piglio affermando che avrebbero tenuta alta la guardia sulle questioni ambientali. Si fa fatica a immaginare come ciò potrà avvenire, visto che il loro peso elettorale nella coalizione si è fatto più piccolo (il 15,4%, era il 19%). Avevano su questa questione l’occasione di puntare i piedi e di esigere una seria agenda ambientalista, che segnasse un reale cambiamento di rotta sulle politiche urbanistiche, dei trasporti e di gestione del territorio. De Pascale è andato dritto per la sua strada – non un accenno a un cambio di registro – e non si capisce proprio di cosa Sinistra Italiana e Verdi possano adesso vantarsi.
La sinistra radicale, invece, rimane al palo (e fa specie l’immodestia di Serra). In Emilia-Romagna aveva marciato divisa in tre liste nel 2020, raccogliendo 26.165 voti (1,21%). Unione Popolare prese 32.331 voti nel 2022 (1,4%), mentre Pace Terra Dignità arrivò a 46.002 (2.32%). La lista PaP+PRC+PCI prende ora appena 27.337 voti (1.8), che sono, sì, mille in più del 2020 ma ben meno di quelli di PTD del giugno scorso. In Umbria, invece, Rifondazione Comunista partecipa alla lista Umbria per la Sanità Pubblica, in coalizione con il centro-sinistra, e ottiene un buon 2,4%, contribuendo così alla vittoria, mentre le altre liste di sinistra raccolgono solo briciole.
Il voto in Emilia-Romagna e Umbria, in ogni caso, conferma che la destra raccoglie ancora voti nelle aree interne e periferiche, ove la concentrazione delle fasce di reddito più basse è maggiore, mentre il centro-sinistra ottiene più consensi nelle aree urbane, dove i redditi medi sono più alti. Certo, i consensi vanno riducendosi per tutti, per un elettorato che fatica a distinguere le proposte politiche che gli vengono offerte, in cui i ceti popolari non trovano più rappresentanza.
Se Avs e 5 Stelle avessero fatto coalizione a sé – aprendosi a sinistra e contrapponendosi al Pd – avrebbero potuto forse ambire a più di quell’8,8% che li relega a partner minori, raccogliendo anche un voto di “protesta” che, per non premiare il Pd, è finito inespresso. Potevano ambire al 13-14% delle europee, magari insieme ai cugini di PTD e di PaP, lasciando comunque al Pd la maggioranza relativa. La “paura della destra” e la scarsa visione politica hanno avuto la meglio ma ora sarà dura per chiunque ribadire il no alla cementificazione e alle grandi opere e maggiore tutela ambientale. Così, si è lasciato vincere il “partito del cemento” sperando che, di qui al prossimo alluvione, si ravveda davvero.