Vive la liberté!

Unione Popolare: le urgenze


Roma, 4 dicembre 2022, intervento all’Assemblea di UP

Ci sono tre tendenze che credo siano importanti da tenere presente:

  • Negli ultimi trent’anni, il quadro socio-economico si è deteriorato, particolarmente per le classi popolari: aumento delle disuguaglianze di reddito, dei divari territoriali (nord-sud, centro-periferie e aree interne), dell’occupazione precaria, della povertà, salari fermi, accesso e opportunità si sono ristrette (salute, istruzione). Un Paese più disuguale è un Paese dove sono i deboli a soffrire di più.
  • Il consenso delle sinistre si è ridotto, in termini elettorali: nel complesso, liste e partiti di sinistra, nel senso più ampio ma escludendo quelli più di «centro», sono passate da 17,7 a 7 milioni. Se aggiungiamo i 5 Stelle oggi si arriva a 11,4 milioni. Il bacino della sinistra si è ristretto, ma non le sue ragioni di esistere.
  • Accanto a ciò non si può non notare l’aumento dell’astensione. L’affluenza è scesa dall’83.6% al 63.8% dal 2006 al 2022. La disillusione democratica è un problema, perché è in gioco la tenuta democratica del Paese – di cui la destra può approfittare.

La sinistra. Il Pd ha avuto un’evoluzione inter-classista, guardando sempre più ai ceti medi e medio-bassi «garantiti», privilegiando il tema dei diritti. La sua linea ha subito una curvatura neo-liberista, nell’idea che «la crescita avrebbe favorito tutti», puntando sulla redistribuzione. Ma lo Stato del welfare si è ridotto, e la privatizzazione di beni e servizi pubblici ha finito per penalizzare i ceti popolari. Nel Pd è venuto meno qualsivoglia progetto di «trasformazione» del sistema.

Nella sinistra alternativa, la preoccupazione identitaria ha invece prevalso su una critica aggiornata al sistema. Così, si è persa credibilità. Esempio: nel 2013, dopo una legislatura all’insegna dell’austerity, con un Pd che sposa la linea rigorista, sono esplosi i 5 Stelle, apparsi più credibili nelle loro linee «egalitarie» che non la sinistra cosiddetta radicale.

La classi popolari non hanno più trovato rappresentanza. È a queste che dobbiamo rivolgerci, disegnando una prospettiva di trasformazione, con l’idea di andare a intaccare alla radice alcune delle storture del sistema capitalistico. È sul terreno economico e sociale che si possono riconquistare.

  1. La transizione ecologica. Per essere, questa non può essere che radicale. Che vuole dire cambiare modello di sviluppo, adottare nuove tecnologie e processi, un diverso modo di relazionarsi alle risorse e al territorio: ridurre consumo di suolo e cementificazione, prendersi cura del dissesto idrogeologico, fermare la deforestazione, comunità energetiche, energie rinnovabili (solare, ma soprattutto eolico marino), trasporti meno inquinanti. Il tema della perdita di occupazione o di costo della riconversione è finto. Bisogna aiutare il processo, ma non con il greenwashing. Però, è importante capire che la transizione ecologica non è «di sinistra» e che solo sfruttando l’occasione si può andare verso un sistema più equo.
  2. Politiche redistributive e tassazione (dei redditi da capitale, per cominciare, e dei redditi altissimi). Questo tema deve diventare popolare, basta tabù.
  3. Le politiche del lavoro. Meno dividendi e salari più alti, questo deve essere lo slogan. La competitività del sistema deve essere ottenuta con più innovazione, migliori infrastrutture, non tagliando il costo del lavoro. Politiche industriali, delle infrastrutture e dei trasporti.
  4. Reddito di cittadinanza sì ma non legato al lavoro! Deve essere un sussidio alla povertà. Povertà e lavoro sono comunque due temi collegati: in prospettiva, dobbiamo iniziare a concepire la «fine del lavoro», il nostro tempo di vita liberato dal lavoro obbligatorio a vivere.
  5. Beni comuni e pubblici. La privatizzazione risponde solo a logiche di mercato. Ma non sono le uniche logiche. Il capitale naturale è il principale bene pubblico.

Giusta la critica serrata che va fatta a questo governo di destra, bigotto, razzista, classista, reazionario, retrivo. Giusto appoggiare la protesta. Ma, dobbiamo essere propositivi (con i cittadini, non con il governo), altrimenti non si va lontani. E dobbiamo anche essere meno dispersivi nel mobilitarci (ci sono sempre mille questioni che meriterebbero, dobbiamo focalizzarci).

Dobbiamo essere propositivi anche nei confronti delle altre forze e di chi li sostiene. Ad esempio: il dibattito nel Pd e attorno al Pd ci deve interessare, perché anche lì potrebbe essere possibile una correzione di rotta. Forse che dobbiamo sperare che il Pd si estingua? Questo non succederà e così un’ampia area potenziale della sinistra verrà presidiata. C’è invece da auspicare una svolta, che non potrà essere «radicale», per una prospettiva di governo per tutta la sinistra.

E l’altra sinistra? Cosa ci differenzia davvero dai Comunisti Italiani, da Sinistra Italia, dai Verdi, dai 5 Stelle, finanche da parte del Pd? Su molti temi, credo poco. In chiave elettorale dobbiamo aprirci, altrimenti verremo ricacciati nel ghetto. Le elezioni locali e regionali che vengono ci devono vedere aperti al dialogo nella ricerca della massima convergenza programmatica. Se non ci apriamo, siamo destinati sono a fare «testimonianza», ma di cosa, alla fine? Condannati all’irrilevanza.

I don’t want to make plans, I want to make decisions.