12 ottobre 2022
Sono ormai settimane, da quando l’Ucraina è stata invasa dalle truppe russe, che su questa guerra si è generato un confronto che ha raggiunto toni di indicibile asprezza e disprezzo che non saranno facilmente dimenticati. [Per inciso, in questo paese frantumato, perennemente sull’orlo di una crisi di nervi, sembra che non si sia capaci di affrontare le questioni se non accanendosi (proprio come cani) e inveendo]. Perché in questo caso siamo stati coinvolti come Paese come non era accaduto da lungo tempo: mandando armi (uomini e mezzi li avevamo mandati anche nella guerra del Golfo del 1991). L’azione del governo non è stata affatto supportata da un consenso generalizzato, le forze politiche si sono divise e i media hanno contribuito a creare contrapposizioni dannose e per nulla rassicuranti, addirittura additando ogni pacifismo come “filo-putinismo”. Generando reazioni isteriche, tanto nella pubblica opinione (come i twitteristi che bannano il papa) che tra gli opinionisti e i politici.
Certo, si è detto, per la prima volta dal dopoguerra, un paese europeo è stato attaccato e invaso da truppe straniere. Questo, per inciso, non è vero: non fu la Bosnia indipendente da più di un anno invasa dalle truppe dell’esercito della Serbia di Milosevic? Allora si reagì diversamente. Ora invece, di fronte al fatto che uno Stato sovrano, che confina con paesi della UE, viene invaso dall’esercito di un altro Stato ci ha fatto immediatamente mobilitare. Se, in linea di principio, siamo d’accordo che l’Ucraina è vittima delle velleità di un autocrate che non rispetta il diritto internazionale ed è quindi giusto sostenerla, anche con l’invio di armi, perché non abbiamo invece agito in modo da fermare l’invasore? Dovevamo farlo prima. Dal 2014, siamo stati ignari complici di quanto accadeva nel Donbass e nell’Ucraina tutta, ignavi, continuando a fare affare col Putin (alcuni dei nostri leader, magnificandolo).
Dovevamo farlo in febbraio. Non con le armi, certo, ma con la diplomazia, rovesciando i termini del nostro sostegno all’Ucraina. Ovvero muovendo tutte le diplomazie d’Europa e dicendo a Putin, prima dell’invio di armi: guarda che se non ti fermi, noi armeremo l’Ucraina fino ai denti! No, abbiamo scelto di stare dalla parte di Zelenski e di armarlo, senza alcuna discussione e riflessione. Pensando: prima l’Ucraina si difende, poi, eventualmente, la Russia, vedendo che quella si difende, verrà a patti. Cosa che, comunque la si giri, non è detto che si verifichi a breve e forse nemmeno alla lunga.
Il problema, lo sappiamo, è che la Russia è una potenza nucleare. Tutte le discussioni sul grado di democrazia dell’Ucraina o della Russia sono fuorvianti, perché il problema è solo quello. Con il piccolo dittatore iracheno, quando invase il Kuwait ricco di petrolio, non esitammo un attimo ad andare a bombardarlo. E l’operazione “tempesta del deserto” si fermò a poche centinaia di km da Bagdad, dopo averla bombardata ben bene (e a pagare non fu Saddam Hussein, ma la gente). Mai come in questo caso ci rendiamo conto di quanto avevano ragione Albert Einstein e Bertrand Russell, quando implorarono il mondo con il loro appello del 1955. Cosa fare di una potenza nucleare se è governata da un autocrate che invade un altro paese?
L’equilibrio della guerra fredda ci aveva abituati che ogni potenza nucleare ha la sua “zona d’influenza”. Anche allora, dicevamo, c’era una dittatura in Unione Sovietica, ma non sarebbe venuto in mente a nessuno (dal campo occidentale) di intervenire in Cecoslovacchia o in Ungheria, nemmeno se quelli ce lo avessero chiesto. La dissuasione nucleare funzionava anche in un senso più ampio. Noi non vi attaccheremo, perché sappiamo che voi non ci attaccherete. Ora l’Ucraina ha chiesto ai paesi della UE e alla NATO di difenderla, quanto meno fornendo armi. E, questa volta, abbiamo deciso di dire di sì. L’Ucraina si sta difendendo, la Russia ha finora attaccato in modo forse non troppo efficace (forse non è quella potenza militare moderna che si ritiene), ma può sempre farlo. E ha le armi nucleari, che possono fare la differenza.
Putin, spregiudicatamente, ha affermato che sono stati gli Stati Uniti gli unici che hanno usato l’arma nucleare per sconfiggere definitivamente un altro paese. Se lo hanno fatto loro, sembra ammettere, perché non potremmo farlo anche noi? La prospettiva è terribile. Inoltre, ci ricorda Putin, diabolico, voi avete voluto la secessione del Kosovo dalla Serbia, bombardandola. Perché noi non possiamo volere la secessione del Donbass, così “maltrattato” dagli ucraini? Qui, si entra dentro questioni le cui radici si perdono nei secoli: la “piccola Russia”, “u kraina” (terra di confine), polacchi, russi, russofoni, ucraini, l’Ucraina pre-sovietica, sovietica, post-sovietica… là nelle steppe dove i confini li segnano i fiumi. Come in tutti quei luoghi del mondo ove si sono mischiate culture, chi vanta una superiorità finisce per essere odiato. Eppure, sono anni ormai che in Ucraina si persegue l’opera di “ucrainizzazione” (sulla lingua, principalmente) che molto rancore ha suscitato tra gli ucraini che non usano la lingua come prima lingua (molti ucraini, di quelli che si sentono “ucraini” e non “russi”, parlano russo).
Che fare, noi cittadini occidentali? Sperare che Putin cambi idea o che rinunci grazie alla pressione dell’opinione pubblica russa e mondiale è un’illusione. Anche sperare che egli venga messo da parte perché le cose non vanno bene sul terreno è pericoloso: se per caso l’Ucraina si facesse davvero forte fino a minacciare la Russia e il suo esercito, noi sappiamo che quella potrebbe reagire, e allora sarebbero guai. D’altro canto, lo vediamo, per quanto l’Ucraina potrebbe convincersi di riconquistare i territori occupati, la Russia avrà sempre un’arma in più. Che sarebbe letale per tutti, perché a quel punto, Dio non voglia, gli Stati Uniti si sentirebbero autorizzati a colpire la Russia.
Come deve andare a finire? Sin dal primo giorno dell’invasione, e sin dal primo momento in cui la NATO sotto la spinta americana ha deciso di reagire come ha fatto, la domanda per me è stata: quale via d’uscita hanno in mente? Non Putin, che vuole comunque ottenere se non di far sparire l’Ucraina, di annetterne una parte. Dico noi, l’Occidente, la NATO. Come si pensa di uscirne? Che la Russia si pieghi accettando di non poter annientare l’Ucraina? Che la Russia subisca un’umiliazione tale da far uscire di scena l’autocrate?
Perché deve andare così? Non ho mai pensato che Zelenski debba accettare l’annessione delle 4 province senza alzare becco. Ma Zelenski per primo dovrebbe essere convinto a guardarsi in casa e dire: concediamo maggiore autonomia ai territori abitati dalle popolazioni russofone, così non diamo alibi ai russi. Quei territori, dal 2014, sono stati esclusi dalla vita politica e democratica del paese (non hanno neppure partecipato alle elezioni che hanno eletto Zelenski). Una guerriglia fomentata dai russi ha fatto intervenire l’esercito ucraino in un lungo conflitto che aveva già provocato, secondo stime attendibili, già 14mila morti. I russi, sulla carta, sono ora intervenuti per “proteggere” quei territori, andando molto oltre. Distruggendo vaste zone e, ora, annettendoli. Se Zelenski proponesse una siffatta azione, con il sostegno occidentale, si potrebbe andare da Putin per dirgli: fermati, non c’è ragione di continuare. Se continui, l’escalation sarà terribile, per l’Ucraina, per l’Europa, ma anche per voi.
La guerra non può produrre un risultato sul campo che sia favorevole a entrambi. Forse – ma è tutto da vedersi – può riconquistare i territori perduti, ma a quale prezzo in vite umane e distruzioni. E come saranno trattate quelle popolazioni? Fermare la guerra – con un cessate il fuoco, per cominciare – può evitare conseguenze peggiori, che nessuno dei due, né Putin ma neanche Zelenski vorrebbe. Ed è ora il momento, per noi, di dire a entrambi quei contendenti: fermatevi. Zelenski ha ragione a volere un “ritorno al 24 Febbraio”. Ma, per come si sono evolute le cose, non sarà possibile, forse. E l’unico modo di fermare Putin sarebbe quello di metterlo di fronte all’alternativa: tu ti fermi, ai territori contesi si darà uno status tutelato internazionalmente e noi non sosteniamo Zelenski oltre, ma l’Ucraina deciderà in quale sfera rientrare in autonomia. Oppure, tu non ti fermi, e allora ne pagherai le conseguenze, noi continueremo a sostenere l’Ucraina finché non vi sfiancherete entrambi. Da parte occidentale, però, dovrebbe prevalere il senso del limite: dovremmo essere noi i primi a dire che, qualunque cosa farà Putin, noi non passeremo quel limite, perché noi la rappresaglia nucleare non l’accetteremo MAI. Siamo disposti a questo? Lo sono i nostri governanti?
La ignobile gazzarra contro il pacifismo è terribile. Insinuare che esso stia dalla parte di Putin, che voglia solo il male degli ucraini (Mentana) – solo perché da diverse parti si è fatto rilevare quanto fossero infiltrati di fascisti – è volgare. Peraltro, quel poco che negli anni traspariva in Italia su ciò che accadeva in Donbass, non era proprio elogiativo di quanto andava succedendo. Come chi domanda se “chi chiede la pace è disposto ad abbandonare l’Ucraina a Putin?” (Feltri, Domani).
Chiedere la pace, il negoziato, la trattativa, significa adoperarsi per far metter di fronte i nemici, partendo dalle condizioni sul terreno, capendo quali sono i margini di manovra, quali sono i punti sui quali i belligeranti non possono cedere e quali sono invece le loro debolezze. La Russia, isolata dall’Occidente, si avvia ad essere trattata dagli occidentali, per molti anni a venire, come una grande Corea del Nord, un paria. Ma non dal resto del mondo. E questo, noi, lo dovremmo metter in conto. La divisione prodotta dal comportamento di Putin avrà effetti di lunghissima durata, decenni, in cui anche le relazioni economiche cambieranno direzione e corso. Ma, intanto, dobbiamo fare di tutto per evitare l’escalation nucleare o l’annichilimento dell’Ucraina tutta sotto una pioggia di missili. Senza lasciarci tentare – noi democratici, noi “civilizzati” – dall’impulso di farla finita con la prepotenza con un colpo micidiale, come quello inferto al Giappone già sconfitto. Perché questa volta la pagheremmo cara, davvero. E dobbiamo farlo tutti, non importa sotto quale bandiera (meschino pensiero), che sia davanti all’ambasciata russa, che sia nelle piazze d’Italia, tutti insieme contro la guerra.