20 settembre 2022
E così, questo paese stanco e diviso, domenica prossima è chiamato alle urne. Il Parlamento che andava aperto “come una scatoletta di tonno”, nato dal trionfo dei richiami “anti-casta” ed egalitari (M5S) e “sovranisti” securitari (Lega), è stato sciolto prima del tempo, dando il via all’arrembaggio di un numero di seggi tagliato in nome dell’anti-politica, una legge elettorale truffaldina e un Paese di nuovo al palo. Perché dopo quattro anni e mezzo non è cambiato nulla. Tutti gli indicatori sono in rosso: dal PIL, oggi più basso di allora, all’occupazione, in aumento ma solo nelle fasce precarie, dalle disuguaglianze più alte alla povertà più diffusa. L’abbandono scolastico non è calato, la distanza tra Nord e Sud è cresciuta, le tasse universitarie sono più alte e l’Italia resta il Paese con il più basso numero di laureati in Europa. L’analfabetismo di ritorno è una piaga, si muore sempre e tanto sul lavoro e anche per i tirocini scolastici. Il consumo di suolo continua imperterrito, come la cementificazione. E ora, inflazione, alti costi delle materie prime e la nostra supina adesione alla Nato, invece di vederci protagonisti di iniziative diplomatiche (perché lasciare fare Erdogan o Macron?), ci trova in prima linea tra i fornitori di armi che foraggiano la corruzione in Ucraina e il contrabbando.
Un bilancio non male per quelle forze che, grazie alla loro maggioranza (i 5 Stelle), sono state al governo per tutta la legislatura. Ma anche per Lega e Pd, che hanno puntellato due governi su tre. Hanno istituito il reddito di cittadinanza, ma hanno anche emesso i “decreti sicurezza”, il cui impianto è rimasto poi inalterato. E che altro? Certo, si dirà, c’è stata la pandemia. Eppure, l’Italia si annovera tra i Paesi con il più alto numero di morti per abitante tra i paesi europei occidentali. La pandemia ha colpito i più anziani (per l’85%), che sono però anche quelli con più patologie, il più delle volte legate alle loro condizioni di vita. La pandemia ha colpito i più fragili, tra le fasce più vulnerabili, anche economicamente. E i suoi effetti sono stati così pesanti anche a causa di un sistema sanitario negli anni privato di risorse, mezzi e personale, ove la regionalizzazione ha portato privatizzazioni e inefficienze. Non a caso, l’Italia è tra i Paesi in Europa che spende meno in sanità e spenderà ancor meno, secondo le decisioni di bilancio del governo “dei migliori”.
Un paese provato che oggi, di fronte a sviluppi per i mesi a venire che si prospettano drammatici, viene chiamato a scegliere quale classe politica lo guiderà per i prossimi anni. Se verranno premiate le destre non sarà perché “il fascismo non è mai morto”. La deriva, infatti, nasce prima di tutto dalla profonda delusione, disillusione persino. Nessun ripensamento è stato espresso tanto dal M5S che dal Pd, nessuno sbaglio è stato ammesso, come se al governo ci fosse stato qualcun altro. Chi ha pagato maggiormente il peso di questi anni bui sono state le classi popolari, subalterne più che mai, attraversate dal disagio sociale e dall’esclusione. E sono quelle, più di ogni altra fascia sociale, per le quali la democrazia appare oggi un guscio vuoto, che non merita più nemmeno l’esercizio del voto. Che pagheranno soprattutto le forze di centro e sinistra e che saranno punite per aver consegnato quelle masse al richiamo vacuo del sovranismo nazionalista.
Le elezioni di domenica prossima segneranno una svolta. Non tanto perché a vincere saranno le destre – non è la prima volta – ma perché questa volta il partito maggioritario sarà quello post-fascista, “imbellettato” dalla leadership di Giorgia Meloni ma poco diverso – nelle parole d’ordine come nel linguaggio e nel portato culturale che esprime – da quello di Gianfranco Fini. Sarà una svolta perché andremo finalmente a un redde rationem per il Pd e la sinistra tutta. Dal 26 settembre, la storia della sinistra in Italia dovrà ricominciare.
La destra non vincerà perché raccoglie più voti di prima, ma perché saranno M5S e Pd che perderanno quelli che avevano. Perché sono i voti validi che decidono il risultato. Dei 10,7 milioni che il M5S aveva raccolto, si e no la metà confermerà il suo voto; gli 8,6 milioni che il centro-sinistra aveva, quelli resteranno. E dal calo complessivo dell’affluenza beneficeranno le destre che, con ogni probabilità, non prenderanno più di quei 12,1 milioni che avevano preso nel 2018, ma saranno maggioritarie. E anche “l’altra” sinistra raccoglierà più consensi.
L’Italia in declino è arrivata al capolinea e con essa la prospettiva neo-liberista sposata da più di vent’anni dal centro-sinistra a guida Pd. Le classi popolari andranno riconquistate, mentre il conflitto sociale coverà sempre più rancoroso, gettando a mare la logica che siano i mercati a guidare le scelte. Sarà il momento di riprendere in mano il timone della giustizia sociale e ambientale se non vogliamo l’orbanizzazione definitiva di questo Paese.